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Europa e Italia al bivio, tra premio Nobel e Regioni bancomat
All’Europa è stato recentemente assegnato il premio Nobel per la pace.      
 
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| Vittorio Guillot | 
Bene, ora spero che  esca al più presto da questa crisi più forte e unita politicamente, finanziariamente, economicamente e militarmente.
Questa unità la considero indispensabile sia per non soccombere alle grandi potenze che si affacciano con sempre maggiore forza sulla scena mondiale, sia per reagire alla arroganza degli speculatori  finanziari che usano i mercati per i loro interessi.
Teniamo presente, in proposito,  che la crisi che colpisce l’Europa non è solo finanziaria ed economica, ma è, soprattutto,  una crisi sociale, che coinvolge tutti noi e, in modo più preoccupante, i giovani ed il futuro. 
È una crisi in larghissima misura dovuta al fatto che si sono considerati i giochi dell’alta finanza come delle “variabili indipendenti”, gestiti da poche banche, e non come attività al servizio dell’economia e che dovevano essere disciplinate dagli stati  secondo gli interessi delle persone e dei popoli.
Io penso che l’Europa, se ben governata, abbia la possibilità di superare la crisi e vincere la speculazione finanziaria perché è sempre una delle maggiori potenze culturali ed economiche del mondo. 
Mi preoccupa, semmai, il fatto che, malgrado la crisi, continuiamo a contrapporre i nostri popoli e che  troppo spesso si  considerino solo gli interessi particolari e non quelli comunitari. 
Teniamo anche presente che se non sarà l’Unione Europea ad aiutare gli stati maggiormente in crisi, questi aiuti potrebbero arrivare da altre potenze (es. Cina e Russia), che in tal modo, si assicurerebbero dei "vantaggi politici, economici e strategici”. 
Non va neppure dimenticato che la crisi economica indurrà i governi europei a restringere anche le spese militari e, quindi, a ridurre la sicurezza dei nostri popoli contro chi ha intenzioni aggressive. Questa sicurezza è importante almeno quanto la difesa dell’euro. 
Penso che saranno ridotte anche le missioni internazionali e, così, diminuirà il ruolo dell’Europa nella scena mondiale. In particolare temo che sarà ridotto il contributo militare alla stabilità nella giustizia e nella pace internazionale. Pur non volendo né agire in modo imperialistico né  sottomettere nessuno, l’Unione Europea non può neppure accettare che da questa situazione traggano vantaggio i suoi concorrenti e avversari, che, invece, potrebbero più facilmente dominare su interi popoli e territori economicamente e strategicamente importanti.
Questa situazione potrebbe essere ancora più dannosa se dovesse accentuarsi  la decadenza degli Usa, ai quali, magari “ob torto collo”, siamo legati per  cultura ed interessi.  Per contrastare tutto ciò è necessaria una solida unità europea. Perché questa sia attuata occorre, innanzi tutto, che  noi europei sentiamo  di appartenere ad una stessa cultura e che ne vogliamo difendere i valori. 
Occorre anche che l’Europa abbia un governo, eletto democraticamente, dotato dell’autorità necessaria per guidare la politica comune e un parlamento, esso pure eletto democraticamente, che legiferi sulle materie di competenza.
L’Europa, in altri termini, deve avere una struttura federale a cui corrisponda una autentica sovranità  che assicuri che le decisioni  di comune interesse siano affidate ad istituzioni unitarie e non a  logoranti contrattazioni tra i singoli stati, che favoriscono i più forti. Ovviamente ciò determinerebbe una riduzione della sovranità degli stati federati, ma non sarebbe un male se, al di la della tutela dei comuni interessi, ad ogni stato fosse assicurato il potere di autodeterminazione su ciò che ha di specifico e di particolare.
Insomma, io spero che l’Europa futura non sia egemonizzata da alcuno stato “nazionale”  ma che sia  l’Europa dei popoli , non quella dei burocrati e dei banchieri.  Intanto se sarà redatta una nuova “carta costituzionale europea”, sarà necessario che ogni stato impegnato nella trattativa abbia una forza sufficiente per far valere i propri diritti rispetto agli altri. 
Perciò occorre che gli stati “nazionali” abbiano dei governi autorevoli (non autoritari, beninteso), rispettati e ritenuti affidabili dagli altri stati associati. Ritengo che l’Italia abbia i numeri per difendere adeguatamente i suoi diritti, tenendo conto che è una delle maggiori potenze economiche del "continente". 
Anche per questa ragione sono contrario a certi antistorici e surreali indipendentismi che fanno capolino qua e là e ben vedo una repubblica democratica e presidenziale . Al contrario allibisco di fronte all’ipotesi di un disastroso ritorno al sistema della prima repubblica, caratterizzata da deboli governucci, posti in mano a mutevoli ed effimere maggioranze “post-elettorali”.
Sono favorevole, in ogni modo, a un federalismo teso ad amministrare, valorizzare e rappresentate gli uomini, le culture, le risorse e gli interessi locali . Sia riguardo al federalismo europeo che a quello “nazionale” credo che occorrerebbe individuare con molta precisione le materie di competenza degli stati centrali  e degli stati federati, in modo da evitare interferenze pasticcione  e dannose. 
In particolare stabilirei che l’interesse europeo o quello nazionale, inteso come sistema di tutela della collettività, costituisca un limite al potere politico e legislativo degli stati federati o delle regioni.  In questa ottica ben vedrei che  lo stato centrale  stabilisca  regole comuni e  standards analoghi per quanto riguarda i loro bilanci e le modalità di spesa , possa commissariare quelle che non li rispettano e ponga dei vincoli, all’interno dei quali  gli stati o le regioni federati  possano  agire in autonomia. 
Ciò perché ritengo contrario all’interesse generale sia ridurre  la forza della intera collettività  nei rapporti  esterni, sia vanificare la solidarietà,  indispensabile per raggiungere comuni obbiettivi o superare comuni situazioni di crisi . 
Perché il sistema funzioni occorre, comunque, sottrarlo al potere dei “cerchi magici” che controllano i partiti politici e al clientelismo che li accompagna, e affidarlo alle categorie socio-economiche in cui è articolato il popolo che lavora e produce. Infatti se, oltre ai controlli statali, mancasse la possibilità di una  effettiva partecipazione  popolare alla vita politica, è facile che i padroni e padroncini del vapore scambino le pubbliche istituzioni per loro personali bancomat.
Vittorio Guillot, ammiraglio della Marina in congedo
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