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Femminicidio. Omicidio a rallentatore
L’attenzione che rivolgiamo a questo problema non si può fermare al 25 novembre.
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Paola Correddu |
Il femminicidio, forma estrema di violenza di genere, non può essere considerato alla stregua di un qualsiasi altro omicidio.
Ha infatti caratteristiche del tutto peculiari se si considera chi ne è autore ed il movente.
Gli uomini sono vittime, in gran parte, della criminalità organizzata, per differenti motivi; le donne muoiono in quanto donne, mogli, fidanzate, conviventi, ex-compagne, uccise nel 75% dei casi da mariti, ex-mariti, fidanzati, ex-conviventi, amanti.
Il femminicidio nasce da uno squilibrio nei rapporti di genere che induce l’uomo ad utilizzare la violenza per ristabilire il potere maschile, il desiderio di controllo, il dominio ed il possesso sulla donna.
Non è certo la conseguenza di un raptus ma l’esito finale di una serie di episodi di abuso sempre più gravi e frequenti, compiuti da autori lucidissimi.
Mentre il numero complessivo degli omicidi, nell’ultimo ventennio, è drasticamente crollato con una riduzione di quasi ¾ ( da 1901 nel 1991 a 526 nel 2012) e questo grazie ad una riduzione degli omicidi di mafia e della criminalità organizzata, il numero dei femminicidi è inchiodato da anni ( 107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009, 120 nel 2011, 124 nel 2012 e già 128 nel 2013).
Se è vero che non vi è stata una recrudescenza, se è vero che in termini di valore assoluto non vi è stato un incremento, è vero che in termini percentuali l’omicidio di genere è in aumento sul totale degli omicidi passando dal 10% al 25%.
Il femminicidio è però solo la punta di un iceberg. Una ricerca ISTAT del 2006 ha evidenziato che c’è tutta una realtà sommersa e feroce, rappresentata dai 10 milioni di donne italiane che confessano di aver subito violenza verbale, fisica, psicologica, sessuale. La morte è solo l’epilogo di un atto di soppressione iniziato molto tempo prima con insulti, umiliazioni, maltrattamenti, percosse, un annientamento vero e proprio che colpisce l’anima prima che il corpo. Un omicidio a rallentatore.
Il femminicidio è l’esito di una violenza vissuta in silenzio, spesso nascosta tra le pieghe di una, apparentemente normale, relazione di coppia. Anni di botte celate a parenti, amici, vicini di casa. Spuntano lividi sempre più grandi e numerosi, le occhiaie si fanno sempre più profonde, ma il calvario di queste donne viene consumato senza un lamento, ingoiando lacrime, mostrando sorrisi davanti ai propri figli, nella speranza che le cose cambino.
Ma chi compie un atto di abuso una volta, sarà portato a reiterarlo e non c’è alcuna speranza di cambiamento. E’ questo che le donne devono capire così come devono rendersi conto che esporre i propri figli alla vista di continui atti di violenza aumenta la probabilità che essi stessi diventino protagonisti di episodi di questo tipo.
Non limitiamoci alla conta degli omicidi che interessano le donne. Non attendiamo l’atto finale come evento ineluttabile. Teniamo in considerazione tutte le manifestazioni di violenza contro le donne cercando di mettere in campo strumenti di prevenzione che favoriscano il cambiamento dei modelli culturali e facilitino lo sfondamento del muro del silenzio così da favorire la denuncia degli abusi subiti.
Prevenzione attraverso l’informazione, la sensibilizzazione, la lotta alla discriminazione ovvero quel sentimento di chi vede l’altro come qualcuno che manca di qualcosa e che porta all’oggettivazione della persona, che così viene privata della propria essenza umana, della propria personalità.
Per fare prevenzione i centri antiviolenza e le case rifugio sono fondamentali, ma occorre fare di più, investendo anche sulle strutture sanitarie, sulle forze dell’ordine, sull’educazione scolastica, sulle politiche di eguaglianza.
I femminicidi, in Italia, continuano con una media di uno ogni 2 giorni. L’attenzione che rivolgiamo a questo problema non si può fermare al 25 novembre ma deve essere quotidiana, costante. Sensibilizzare uomini e donne su tema sempre di grande attualità è un dovere civico oltre che morale.
Ha infatti caratteristiche del tutto peculiari se si considera chi ne è autore ed il movente.
Gli uomini sono vittime, in gran parte, della criminalità organizzata, per differenti motivi; le donne muoiono in quanto donne, mogli, fidanzate, conviventi, ex-compagne, uccise nel 75% dei casi da mariti, ex-mariti, fidanzati, ex-conviventi, amanti.
Il femminicidio nasce da uno squilibrio nei rapporti di genere che induce l’uomo ad utilizzare la violenza per ristabilire il potere maschile, il desiderio di controllo, il dominio ed il possesso sulla donna.
Non è certo la conseguenza di un raptus ma l’esito finale di una serie di episodi di abuso sempre più gravi e frequenti, compiuti da autori lucidissimi.
Mentre il numero complessivo degli omicidi, nell’ultimo ventennio, è drasticamente crollato con una riduzione di quasi ¾ ( da 1901 nel 1991 a 526 nel 2012) e questo grazie ad una riduzione degli omicidi di mafia e della criminalità organizzata, il numero dei femminicidi è inchiodato da anni ( 107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009, 120 nel 2011, 124 nel 2012 e già 128 nel 2013).
Se è vero che non vi è stata una recrudescenza, se è vero che in termini di valore assoluto non vi è stato un incremento, è vero che in termini percentuali l’omicidio di genere è in aumento sul totale degli omicidi passando dal 10% al 25%.
Il femminicidio è però solo la punta di un iceberg. Una ricerca ISTAT del 2006 ha evidenziato che c’è tutta una realtà sommersa e feroce, rappresentata dai 10 milioni di donne italiane che confessano di aver subito violenza verbale, fisica, psicologica, sessuale. La morte è solo l’epilogo di un atto di soppressione iniziato molto tempo prima con insulti, umiliazioni, maltrattamenti, percosse, un annientamento vero e proprio che colpisce l’anima prima che il corpo. Un omicidio a rallentatore.
Il femminicidio è l’esito di una violenza vissuta in silenzio, spesso nascosta tra le pieghe di una, apparentemente normale, relazione di coppia. Anni di botte celate a parenti, amici, vicini di casa. Spuntano lividi sempre più grandi e numerosi, le occhiaie si fanno sempre più profonde, ma il calvario di queste donne viene consumato senza un lamento, ingoiando lacrime, mostrando sorrisi davanti ai propri figli, nella speranza che le cose cambino.
Ma chi compie un atto di abuso una volta, sarà portato a reiterarlo e non c’è alcuna speranza di cambiamento. E’ questo che le donne devono capire così come devono rendersi conto che esporre i propri figli alla vista di continui atti di violenza aumenta la probabilità che essi stessi diventino protagonisti di episodi di questo tipo.
Non limitiamoci alla conta degli omicidi che interessano le donne. Non attendiamo l’atto finale come evento ineluttabile. Teniamo in considerazione tutte le manifestazioni di violenza contro le donne cercando di mettere in campo strumenti di prevenzione che favoriscano il cambiamento dei modelli culturali e facilitino lo sfondamento del muro del silenzio così da favorire la denuncia degli abusi subiti.
Prevenzione attraverso l’informazione, la sensibilizzazione, la lotta alla discriminazione ovvero quel sentimento di chi vede l’altro come qualcuno che manca di qualcosa e che porta all’oggettivazione della persona, che così viene privata della propria essenza umana, della propria personalità.
Per fare prevenzione i centri antiviolenza e le case rifugio sono fondamentali, ma occorre fare di più, investendo anche sulle strutture sanitarie, sulle forze dell’ordine, sull’educazione scolastica, sulle politiche di eguaglianza.
I femminicidi, in Italia, continuano con una media di uno ogni 2 giorni. L’attenzione che rivolgiamo a questo problema non si può fermare al 25 novembre ma deve essere quotidiana, costante. Sensibilizzare uomini e donne su tema sempre di grande attualità è un dovere civico oltre che morale.
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